Horyzon, Capital City
Appartamento, 35° piano.
Sono giorni,
e giorni, che lavora. Incessantemente, da lasciare lo stomaco vuoto ed il
sonno alle spalle. Negli occhi brucia una determinazione febbrile, malata, che
lo spinge a proseguire oltre il limite umano, raschiando il fondo. Ha il viso
stanco, i vestiti sfatti. Nonostante questo siede al tavolo della cucina con le
mani tra i capelli e la testa bassa sulla marea di fogli elettronici che ha
sparso ovunque, fitti di appunti ed annotazioni utili al caso. E’ da poco che
ha riaccompagnato Andres a casa di Lee e Gray; nel rientrare non si è nemmeno
cambiato, ha solo abbandonato la giacca – senza grazia – sullo schienale della
poltrona all’ingresso. La cravatta agganciata da qualche parte, la camicia
appallottolata sulla sedia accanto alla propria. Sta cercando qualcosa, la
classica “luce al fondo del tunnel”.
Non è mai
stato così, mai. Non ci ha mai messo la medesima passione che ci sta mettendo
ora, avvelenandosi il sangue. I flash, che gli fanno rivedere le condizioni
dello Yiji, fanno stringere i denti e mancare il respiro. L’ha visto crollare e
cedere, ha sentito sulla pelle la sua paura di aver sbagliato. Il pugno contro
al tavolo cala un istante dopo, spostando una pila di documenti maniacalmente
impilati e spandendo nel silenzio un suono sordo, secco.
“Fuck”.
Lo ripete
una, due, tre volte, aggirandosi come un animale in gabbia.
“Pensa. Pensa. Pensa”.
Si tortura i
capelli, stringe le braccia, scarica la tensione sui muscoli tesi: niente da
fare, non si calma. Raccatta il pad, lasciato su un mobile basso, con un gesto
brusco e rabbioso. Se Lucas non fosse sparito ora chiamerebbe lui per farsi
prescrivere qualcosa, quantomeno per dormire. Invece il Medico non c’è. Non c’è
nemmeno Megan in casa. Non c’è nessuno, a parte Staunch – il cane – che si
muove irrequieto attorno a lui. Persino l’animale può sentire la pesantezza
dello stato d’animo del padrone. Uggiola, ma Owen non lo guarda. Scorre la
rubrica rapidamente, mordendosi le labbra fino a graffiarsele con i denti.
“ Regy… Regy… dove cazzo è il contatto di Regy..”
Ufficialmente?
Uno spacciatore. Uno dei bravi, si intende, che sintetizza la roba migliore. Ma
lui non vuole della droga, gli annebbierebbe i senti. Owen vuole solo dormire.
- Chi è..? Chi.. pronto?- Regy! – una voce che esplode, piena di sollievo nervoso- Chi… Oh oh, ‘Worth!- Non volevo svegliarti, scusa Regy.. – non è da Owen scusarsi, non con Regy.- Ehi amico, che… è morto qualcuno? – ironia spicciola che trasuda, stranamente, un pizzico di allarme.- Hai qualcosa a portata da darmi?- Qualcosa per….?- Non mi serve niente di forte, non medito un’overdose. Non voglio nemmeno sballarmi Qualcosa che mi calmi i nervi, Regy. Devo dormire. – non dice “vorrei”, “mi piacerebbe”: DEVO dormire.- Dammi mezz’ora, ti scrivo l’indirizzo.
Mette giù la
chiamata senza salutare: con Regy non ce n’è bisogno. Si riveste con la stessa
camicia stropicciata, stavolta senza la cravatta. Prende le chiavi ed esce di
casa, stavolta senza portarsi dietro Staunch. Sarà una toccata e fuga.
Capital City, Sobborghi
Red Lotus, Bagno delle Donne
Sono passati
una notte ed un giorno. All’appuntamento con Lee ci arriva puntuale, chiuso in
un involucro di pelle sintetica che lo f sembrare un vero macho. Ha cambiato
persino il colore dei capelli: s’è fatto scuro, più castano e meno biondo.
Oltrepassa l’ingresso
del Red Lotus guardandosi poco attorno, ancora meno le cameriere che gli
rivolgono sguardi annoiati e stanchi. Tsk, immagine riflessa eh?
Va dritto
verso il bagno delle donne, spalancandone la porta per trovare Lee appoggiata
al lavandino.
Non ci vuole
molto, in effetti, per farli esplodere entrambi. Covano una rabbia
particolarmente intensa che spinta l’una contro l’altro fa scintille. L’aria
crepita mentre si urlano addosso, coperti dal suono del phon costantemente
acceso per coprire i segreti che condividono.
“Io non voglio uccidere nessuno.”
Lee lo dice con un tale timore stretto tra i denti che fa
male persin sentirla parlare.
La voce
esplode nel piccolo bagno, rimbalzando contro alle pareti. No, non è una condizione
accettabile. Non è una cosa che la sua coscienza potrebbe trattenere… o forse
si?
I sottintesi
sono tantissimi. Si guardano e capiscono che lui ha ragione. Che entrambi ce l’hanno.
Sembrano pronti a non aggiungere altro, ed invece..
Qualcosa, di quello che vede in lei, gli fa male al petto. L’idea che
lei possa arrivare a pensare di chiedergli una cosa del genere – che lui
farebbe senza pensarci, consapevole dell’importanza della causa – sgretola moltissime
certezze. Il bisogno di chiuderla in un bozzolo spesso ed indistruttibile si fa
immediata, nonostante questo reagisce in maniera istintiva piuttosto che
ragionata. La osserva, respirando il profumo della sua pelle. La supplica di
tenere gelosamente la brillantezza che ancora le schiarisce lo sguardo. Di non
oltrepassare alcuna linea, di mantenere intatta la lucentezza – dall’anima. Una
preghiera, ancora ed ancora.
Una preghiera che ripeterà nel buio quando la
sentirà addormentata contro di sé, fissando il soffitto alla ricerca di una
risposta.
O, più che altro, di una speranza.