mercoledì 17 settembre 2014

Sadness and Sorrow

(Post scritto a quattro mani)

Horyzon, Capital City
Terapia Intensiva, Stanza 23
(Owen)
Ha smesso di contare i secondi, i minuti e le ore.
Ha smesso di cercare un dettaglio affascinante in un mare di bianco puro e silenzio.
Ha smesso di sforzarsi, cercando di muovere le dita dei piedi.
Ha smesso di sperare e basta.
Per quel che lo riguarda, almeno.
Si rende conto di soffrire di tremenda ansia da abbandono. Vede solo medici ed infermiere, gli stessi tutti i giorni.
Confida in un viso amico, prima o poi. In un sorriso che non sia solo di falsa cortesia.
Si detesta, per la propria debolezza, conscio di pretendere senza dare. O di dare troppo senza pretendere niente, questo sarebbe più giusto.
Quando sente bussare, dopo aver fissato ininterrottamente le immagini della holotv per due ore, si rende conto che non ha più alcun desiderio: l’ha soffocati tutti da un pezzo. Sarà il solito due infallibile, pronti a controllare i monitor. Lo fa giù lui, credendo di poter ridurre il tempo della visita.
La verità è che non sono loro. 
- Scusami... non sono riuscita ad arrivare prima...
- Non scusarti. Non credevo nemmeno che ce l'avresti fatta.
- Certo che ce l'avrei fatta... posso spostare qualche impegno 
- .. diciamo che ti perdono il ritardo solo perchè mi hai portato un regalo.
- Ho pensato che ti facessero mangiare male da queste parti a dire la verità.... non vorrei che poi tornassi a casa troppo smagrito.. e così ...vorrei farti ingrassare un po’, ecco tutto. 

Le bende sotto ai guanti, la pelle magra tirata sulle ossa. Le oscillazioni improvvise, la mancanza di forza nell’alzarsi. Porca miseria, è un miracolo se sta in piedi. 
- Per quale motivo vuoi aiutarmi?
- Non so quali persone abbiano attraversato la tua vita, ne cosa ognuno di loro ti abbia lasciato.. ciò che ho visto io, però, è il bisogno di qualcosa. Qualcosa che sfugge spesso via dai tuoi sorrisi. Io non penso tu sia mai stata abituata ad aver qualcuno disposto a prendersi cura di te. In ogni senso possibile. Non parlo solo di amore ed affetto. Mi riferisco a tutto il resto.
- .. cosa sfugge via dai miei sorrisi?
- ….
- Se vuoi che qualcuno vada a dare da mangiare ai cani... sono disponibile comunque.
- Dei cani c'è già chi se ne occupa. Ma se ti serve un posto dove stare da me ce n’è parecchio.
- No, non preoccuparti... ho la mia camera alla Shouye e soprattutto devo smetterla di accettare di trasferirmi da chiunque. Prendilo come un buon proposito per l'anno nuovo..
- .. chiunque. - ripete solo quell'unica parola, abbozzando un sorriso al buio della sera - ... come preferisci.

Guarda il comodino, dove ha poggiato la “pasticceria” che Daphne gli ha portato la sera precedente. Mezza casetta andata, molti cioccolatini spariti. Tanti orsetti senza più tesa o corpo.
Ha anche diversi fogli elettronici con alcuni enigmi, portati da Andres.
Tanti ricordi di una sola notte ammassati l’uno sull’altro.
Il sorriso di uno.
La disperazione dell’altra.
La disperazione è qualcosa che gli brucia nel petto. Ha cercato in ogni modo di strapparle un sorriso e nei suoi occhi ha solo visto tanta tristezza e solitudine. Ha provato a farle raccontare qualcosa; nelle diverse pause ha seguito solo i suoi occhi verso un cielo privo di stelle.
Poi l’ha lasciata andare, con la promessa di una partenza imminente – una fuga – sapendo che non l’avrebbe più rivista.


(Daphne)
Aveva detto di no, che sarebbe andata via senza tornare e invece eccola di nuovo fare la sua comparsa in quella stanza d'ospedale, quell'ospedale che tanto odia, che la spaventa come quel mostro che si nasconde nel buio sotto al letto mentre i bambini dormono.
Il volto arrossato, gli occhi lucidi di chi ha pianto e non è ancora pronto a smettere, l'espressione imbronciata o forse semplicemente triste. 
- Starò bene... promesso.
La voce è così flebile che quelle parole non possono che essere una bugia. Nel modo in cui abbassa gli occhi è facile intuirlo, lei che è un'attrice non ha la forza nemmeno per fingere. Tortura le dita guantate, sotto la trasparenza dei ricami quelle bende sono visibili e sotto quelle bende i tagli che lei stessa si provoca che altro non sono che sintomo di un profondo malessere interiore che supera ciò che le parole dicono.
Non si avvicina però, un passo e potrebbe cambiare idea. 
- Credo...credo sia il caso che teniate tu ed Andres, Bau. Dimentico sempre di dargli da mangiare, e poi abbaia, abbaia troppo... fatelo giocare però, ama dormire sul letto e ancora non ha capito bene come funziona la storia di chi comanda, ma va bene così. Ogni tanto cerca di mangiare la cioccolata ma credo che ai cani faccia...
Parla, straparla, un fiume di parole dettate dal nervosismo di un addio impellente. Sommerge Owen con parole inutili e vuote pur di non permettergli di soffermarsi sul vero motivo della sua presenza li.
- Andres ha ragione, non potete pensare a terzi, avete altro da fare, tu devi tornare a camminare, lui deve riprendersi del tutto e parlare con me è come battere con la testa nel muro... è così che va, ok? Preferisco stare da sola, ho anche io una casa, l'avevo dimenticato.
Una casa avvolta nei ricordi che non riesce a lasciarsi alle spalle, dove tutto è perfettamente li, dove l'unica persona che lei abbia mai amato l'ha lasciata.
- L'ha detto anche lui, sono libera di fare le mie scelte.
Mentre parla le lacrime scendono lungo il suo volto, il respiro le si spezza e non guarda mai l'uomo, lo sguardo è fisso a terra come se stesse parlando alle sue scarpe lucide firmate che probabilmente costano quanto l'intero ospedale.
  

(Owen)
Il suo lavoro è l’analisi dei rischi, vale a dire fare previsioni di ciò che è accaduto e di quello che accadrà. Niente è riuscito a prepararlo a questo.
Non al suo ritorno.
Quando vede la porta aprirsi immagina subito un dottore. L’espressione è già stanca, annoiata. Tesa. Ha in gola diverse frasi pronte per l’occorrenza: “sto bene”, “non ho granchè male”, “quando riprenderò  a camminare?”. Le solite, di rito.
Quando posa gli occhi sul viso di Daphne resta pietrificato, forse per la prima volta in vita sua.
Lei che inizia a parlare, lui che non si azzarda ad interromperla MAI.
Quasi respira a stento, sbattendo di rado le palpebre.
Quelle della Yiji sono lacrime che non può frenare. Non può muoversi per andarle incontro, non può sperare di convincerla a calmarsi. 
- Ti prego, lasciami solo… provare.

Lo sa che saranno parole inutili, sospese nello spazio che c’è tra loro. Stringe le lenzuola, scaricando il nervosismo sul tessuto leggero. Le strizza contro ai palmi e si fa del male tendendo la schiena in avanti, redarguito ben presto da una stoccata al costato. Il dolore è lancinante ed immediato, gli toglie il respiro. 
- Non deve andare per forza così, lo sai? Non sei obbligata a scappare, ne a nasconderti. Tutto ciò di cui hai bisogno è qui. Hai Andres, qui.

Parla senza sapere quanti siano i problemi sotto alla superficie. Già quello che sa lo indispone al tal punto che potendo la metterebbe sotto sorveglianza. Invece no: certi lussi non se li può permettere.
Ricorda i graffi, ogni singola escoriazione che si è provocata coscientemente. Sono ancora tutte li, torturate dalle dita.
Sono li a ricordargli la fragilità di un singolo attimo.

(Daphne)
- Io non ho nessuno qui.. io non ho più nessuno qui... è il prezzo del potere. Avevo tanti amici..ho creduto in una famiglia, ma sono andati tutti via.

Dice, la voce è triste ma sulle labbra un lieve sorriso, quasi sdrammatizza, si intravedono le sue fossette, piccole e fragili, lasciano credere che siano nate su di un volto destinato a sorridere alla vita e non a spezzarsi prima del previsto. Un tempo non era così, è facile intuirlo anche se lei lo nasconde. Una volta qualcuno la faceva ridere, una volta qualcuno l'amava, una volta qualcuno le ha promesso la luna per poi portarle via i sogni. 
- Mi sono resa conto troppo tardi che il denaro non è tutto, che forse sarei stata felice in una casa sull'albero e un abbraccio. Mi sarebbero bastati per tutta la vita.

Ma a quel sogno ha rinunciato quando le è stato chiesto di fuggire, e lei è rimasta inchiodata sul fondo di un pozzo da cui non riesce ad uscire, da cui la bambina che non è mai stata chiede aiuto mentre l'adulta la soffoca.
Owen la osserva, vorrebbe che lei lo lasciasse provare, non può, non può cedere di nuovo, e così ingoia le sue lacrime e mette insieme i cocci che rimangono della sua maschera. 
- Io devo andare... starò bene, te lo prometto ok? Starò bene.

Non attende una risposta, si allunga solo verso di lui per depositare un lieve bacio sulla sua fronte come la sera precedente, poi va via, gli sfugge dalle mani come sabbia. Daphne è andata via lasciando dietro di se il nulla dell'assenza.

Al tempio c'è una poesia intitolata  'la mancanza' incisa nella pietra. Ci sono tre parole ma il poeta le ha cancellate. Non si può leggere la mancanza, solo avvertirla.

(Owen)
- Io devo andare... starò bene, te lo prometto ok? Starò bene.

Nel momento in cui lei pronuncia quelle parole lui non ci crede.
La guarda avvicinarsi, socchiudendo gli occhi al bacio, ma appena si allontana frena la mano sulla propria gamba.
Trattenerla vorrebbe dire far partire una discussione senza precedenti.
Trattenerla vorrebbe dire “obbligarla” ad ascoltarlo. Il problema è che Owen ora non ha la forza, ne la forma fisica adatta, per fare niente di tutto questo.
Daphne gli scivola via dalle dita con leggerezza, come uno sbuffo d’aria tiepido. Si lascia dietro una porta chiusa e l’immagine di un viso pieno di lacrime.
L’attimo dopo cerca il pad tra i fogli elettronici, spargendoli ovunque. Scorre la rubrica rapidamente, fermandosi su un nome: Andres.
Passa oltre: lo chiamerà dopo.
Prima ha un’altra persona da contattare.
Tre squilli, poi la risposta.
 - Regy, ho bisogno di un favore..

Una frase che implica una gravità quasi tangibile.
Sarà un favore, uno di quelli tra criminali.