Horyzon,
Capital City
Saint Peter
Street numero 49
Daphne
Owen, sto male.
Owen, ho paura.
Sono bastati
due messaggi per farlo partire dalla Shouye, lasciando progetti e disegni in
disordine, per recuperare Regy e portarlo a casa propria. Le luci della Città
sfrecciano fuori dai finestrini. Le macchine a cui tagliano la strada spremono
i clacson con rabbia feroce. Owen non vede altro la meta da raggiungere, con il
navigatore che pulsa silenziosamente per indicargli le scorciatoie più utili.
Sul vialetto
della villetta frena con tanta foga da alzare polvere e ghiaia, catapultandosi
giù dalla macchina senza nemmeno chiudere lo sportello. Affronta persino la
porta di ingresso con impazienza, graffiando la toppa con la chiave fino a che
non riesce ad aprire la serratura.
- Ti ha detto cos’ha?
- No.
- Si ma io ho portato…
- .. non lo so!
Vengono
accolti dal buio. Tutte le stanze sono silenziose. Tutte tranne una: la camera
da letto. Da li provengono gemiti e lamenti. Gli ultimi metri vengono fatti con
la testa incredibilmente leggera ed il passo sciolto di un assassino verso la
vittima. Si rende conto di aver una fottutissima paura, quella che ti gela il
sangue nelle vene. Non vuole girare l’angolo perché l’odore lo sente già da li:
metallo e morte. Chiude gli occhi, sfiora lo stipite con le dita e fa capolino.
No, non c’è. Guarda il bagno, dove l’ombra di Daphne si intravede sulle
piastrelle. I piedi si sono fatti di piombo, eppure cammina nella maniera più
svelta che gli riesca. Ci sono impronte ovunque, in terra. Asciugamani sporchi,
aria umida. Ogni rumore svanisce e lo sguardo si concentra sulle sue gambe
pallide che tremano – che non la tengono più su. La vede aggrapparsi alle
pareti e la vede piangere per il dolore che sta provando.
- Esci da qui, ti prego. Esci. Non devi vedere.
- Ormai ho già visto.
L’afferra l’attimo
dopo, tirandola su. Se la carica in braccio ed i vestiti si impregnano di
rosso, incollandosi alla pelle. La sensazione vischiosa del sangue gli strappa
battiti intensi; fanno così tanta
pressione sulle orecchie da fargli pensare che tra un po’ gli esploderà la
testa. Non ha nemmeno percezione dei muri attorno a loro. Non si rende conto
del percorso che fa per depositarla sul letto – ed una terrificante sensazione
di déjà-vu lo uccide.
- Salvaci. Ti prego... ti prego salvalo. Ti prego, Owen, ti prego...
Regy li accanto non sa cosa fare. Scuote la
testa, gli dice già che è finita. Ad Owen muore qualcosa nel cuore: sa già che
questa promessa non potrà mantenerla. Non riuscirà a salvare nessuno, non ciò
che Daphne vorrebbe almeno. Le dice solo la bugia più dolce: adesso vediamo,
starai meglio. Se lo ripete fino alla nausea.
Starà
meglio.
Staranno
tutti meglio.
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Nicole
Ha paura del
buio. Lo capisce da come evita le zone d’ombra, da quanto abbraccia la luce dei
lampioni tirando a stento un sospiro di sollievo. La vede tremare, la sente
fredda. Si ostina perché vuole sapere cosa le sia successo in carcere. Si intestardisce
a tal punto da fare l’unica cosa che gli potesse mai venire in mente: usare il
genetic. Le stringe le spalle, chiude gli occhi e la rassicura in merito al
fatto che nel buio non ci sia niente di male. Lo dice nell’attimo in cui la
visione di lei lo uccide lentamente.
C'è una stanza piccola. Un paio di lavatrici. Probabilmente una lavanderia. Ci sono altri detenuti. Tutte tute arancioni comunque. E' tardi ed è buio. Le luci al neon illuminano solo qualche punto ed i secondini sonnecchiano anzicchè sorvegliare. Vede Nicole. Un sacco che le cala sopra la testa e che la fa sprofondare ancora di più nel buio. Sente la paura. L'impotenza ed anche una forma sottile di angoscia accarezzargli la pelle. Sente anche le grida mentre qualcuno ride. Quel qualcuno che non è lei. Sente anche il dolore. Un paio di fitte ai fianchi e due in pieno volto. Poi arriva solo il buio a dargli modo di immaginare il resto.
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Grace
Porta al Ranch il cavallo, come promesso; la bestia
dispettosa che gli distrugge le sigarette ogni volta che cerca di prenderne
una. Ci ha rinunciato da molto tempo, d’altra parte, ma ascolta ciò che dice la
Dottoressa annuendo. Altre domande premono le labbra; vorrebbe chiederle così
tante cose che invece si ritrova a stare in silenzio per così tanto tempo da
sembrare sospetto.
- .. chi è che supera le avversità con te, Grace?
- Beh... Sul lavoro ad esempio i miei rancheri mi danno una grande mano.
- .. e fuori dal lavoro?
- Perché me lo hai chiesto?
Già, perché glielo
ha chiesto? Perché voleva scusarsi, prendersi colpe che non ha. Dirle che non
voleva. Ed invece se la ritrova a piangere tra le braccia, scossa da tremiti
che incidono le ossa. Così piccola e fragile che stringendo un po’ di più
rischierebbe di spaccarla in piccole schegge opache. Si ritrova a prenderla in
braccio per portarla verso la casa senza un minimo di amor proprio: con la
febbre, a torso nudo – perché le ha ceduto l’unico strato di stoffa che aveva,
per tenerla al caldo – ed incurante delle proprie condizioni.
Ha preteso
di assorbire anche il suo dolore.
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Megan
La cucina
del Centro è accogliente, grande abbastanza da ospitare un tavolo lungo con
molte sedie. Ha preparato un paio di panini, offrendone uno alla sorella. Si
interessa alla sua vita, lavorativa ed amorosa. Si scusa per essere stato poco
presente, per averla trascurata. Si stuzzicano con battute senza peso e
confessioni leggere; la casa è tutta loro, non c’è nessuno.
- Quindi ora sei pericoloso?
E’ una
domanda che inizialmente Owen non capisce, perciò ci scherza su. Le dice “oh,
ma io sono sempre stato pericoloso” con quel suo sorriso sfacciato e l’aria da
cattivo ragazzo.
- Voglio dire, che ora non hai più, quel freno che ti impediva di stare lontano da me. In quel senso dicevo.. Se.. dovessi intrufolarmi nel tuo letto..
Poi gli si
aggrappa addosso, stringendo la camicia. Si sporge in avanti e lo bacia. Owen
percepisce il movimento in ritardo ma la scansa comunque – anche se il calore
gli si è appiccicato addosso.
- Non pensare.
- Sei mia.. sorella, non puoi chiedermi di non pensare.
Da li in poi
si sgretola. Lei non piange ma sa di aver sbagliato. Viene mandata via con
grande nervosismo e rabbia. Un “come hai potuto” che aleggia nell’aria. Resta
il tintinnio metallico di un ciondolo lasciato sul tavolo: il pezzo di un
puzzle. Nessun saluto.
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Grace
Il negozio
di fiori profuma così tanto da far venire mal di testa. Owen cerca qualcosa per
la sera dell’inaugurazione: vuole la composizione perfetta. Grace si gira,
infilandogli un fiore nel taschino della camicia “per ricordarci questa serata
alla ricerca dei colori”. Lo
stesso disegno che gli disegna con le dita sul vetro della Jeep, mentre si
allontanano verso casa dei MacKenzie: ha una sorpresa per lei. L’accompagna in
un fienile – dopo averle fatto vivere un intenso momento di terrore a bordo del
fuoristrada impazzito – guidandola nel buio, ballando, in un percorso che s’è
studiato per due ore.
- Entro quanto gli hai detto di venire a cercarci nel caso non dovessimo tornare?
- Non hanno istruzioni, per quello.
- La cosa non mi consola.
Si ferma con
lei di fronte ad un angolo, tastando l’aria alla ricerca della cordicella per
accendere la luce.
- Ora chiudi gli occhi e continua a fidarti di me.
- Continuo a fidarmi.
- .. aprili.
Le presenta un cucciolo curioso, che guarda
entrambi.
- E'... è? Per... - si indica. Non riesce ad articolare bene la domanda, così sorpresa da avere difficoltà ad arrivare alla conclusione ovvia della cosa.
- E' per te, si... è il piccolo miracolo che ti serve a stare bene.
Horyzon,
Capital City
Saint Peter
Street numero 49
Daphne
E’ in
giardino, in piedi di fronte ad un barile dentro al quale ha messo le coperte
sporche di sangue ed I propri vestiti imbrattati. Tra le mani una bottiglia di
scotch, uno dei migliori che abbia trovato in zona. Un sorso appena, poi il
resto lo versa per usarlo come accelerante. Per dar fuoco non usa l’accendino,
solo un pacchetto di fiammiferi reduci dal suo viaggio a Maracay. Tutti
assieme, con una fiammata che s’alza verso il cielo con un ruggito.
Elian
"Un giorno passo, okay? Quando si calmano un po' le acque. Vorrei comunque vederti, a un certo punto."
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Megan
"Penso che potresti essere tu la mia nuova casa, in fondo sei già la mia famiglia.."
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Grace
[Un video
messaggio. Viene inquadrata Grace e poi il cucciolo che tiene fra le braccia.
La ripresa un po' storta, segno che non c'è nessuno a farla ma probabilmente il
cpad è stato posizionato da qualche parte]
Ciao Owen! <Lei saluta e fa muovere anche la zampa del cucciolo>
Volevamo dirti che noi stiamo bene anche se c'è qualcuno qui che non ha ancora un nome. Però ci stiamo lavorando! <Esclama, arricciando il naso divertita>
Volevamo augurarti una buona giornata visto che, grazie a te, questa è la nostra prima insieme.
<Sventola
la mano per mimare il ciao e il video finisce>
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Grace
"M'importa sapere solo che tu resterai. Perché io resterò per te."
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Horyzon, Capital City
Saint Peter Street numero 49
Daphne
Scivola in
terra accarezzando le mattonelle ruvide della facciata con la schiena. Si
abbraccia le gambe, sgranando con i piedi scalzi il terriccio inumidito dalla
rugiada. Daphne dorme nel letto, troppo sedata o addolorata per riuscire a
guardarsi attorno. Owen non ha lavorato, è rimasto a fissare il soffitto per
tutta la notte fino a che non si è trascinato in giardino cadendo di fronte al
barile, ormai pieno di cedere, che lascia scappare verso l’alto una voluta di
fumo grigia e densa. Si incanta con i giochi di luce e con i rumori delle case
attorno.
Pensa ed in silenzio, per la prima volta, piange.