lunedì 20 ottobre 2014

Black Hole

Horyzon, Capital City
Saint Peter Street numero 49

E’ quel momento, poco prima dell’alba, durante il quale si dorme meglio. Profondamente, senza sognare. Owen ci mette un po’ a rendersi conto che il pad sta vibrando sul comodino. Ha fatto due giri completi, quando lo afferra cercandolo a tentoni nella penombra. Si mette a sedere sul letto, passandosi la mano sulla faccia stropicciata dal sonno. Accetta senza nemmeno vedere di chi si tratti, anche se sul display è comparo il nome di Lee Chernenko. La risposta è un mugugno basso e roco, di chi non ha parlato nelle ultime ore. Mette a fuoco il profilo della giornalista molto lentamente, in quella che è chiaramente una video chiamata. Le sorride, lo fa sempre. Le notizie, però, lo fanno sprofondare, poco a poco, in uno stato di delirio non ancora manifesto. Sta li immobile, tra lenzuola sfatte – che ha calciato via durante la conversazione – e cuscini gelati che lo fanno rabbrividire. Quando la chiamata termina ha un’espressione strana, sul viso. Contratta, confusa. Spersa. Sta ancora metabolizzando, in assoluto silenzio, scivolando meccanicamente giù dal materasso e muovendosi scalzo fino al bagno. Accende la luce con una manata, senza guardare il proprio riflesso nello specchio ma catapultandosi verso il lavandino per aggrapparvisi contro con le dita. Rimette l’anima, niente altro che saliva e bile. Sono conati nervosi, di pieno shock. Conati che gli fanno tremare le spalle e mancare il respiro. Si ritrova ad annaspare, senza fare rumore: l’ultima cosa che vuole è svegliare Daphne. La fronte è umida di sudore freddo, anche se sente un caldo infernale. Si sciacqua il viso, pulendo tutto: cancella tracce e prove del cedimento. E’ troppo vergognoso perché qualcuno possa capire. Si butta sotto alla doccia persino, restandoci non più di cinque minuti: quando esce, avvolto in un asciugamano, ha uno sguardo diverso. Feroce.
Si incammina velocemente verso il salotto, scartando due dei miliardi di cani che popolano casa senza elargire carezze a nessuno. Cerca la borsa di Daphne, frugando al suo interno per trovare il pad. Niente, non c’è. Impreca, poi va in cucina; lo cerca addirittura nei cassetti.
L’alba passa ma il sole non spunta: piove ancora su Capital City e la giornata è più grigia che mai. Si veste in fretta, cominciando a far pulizia del proprio dispositivo e cancellando messaggi in rapida sequenza. Tutti, nessuno escluso; persino quelli ricevuti dalla sua stessa collega.
E’ un’ora dopo che sente qualcosa muoversi, il fruscio delle lenzuola: Daphne è sveglia. Sbircia oltre l’ingresso della camera e capisce, dall’espressione che ha, che deve aver letto la notizia appena uscita. Il bip dei messaggi che riceve è immediato: non tira nemmeno ad indovinare. Salta sopra al letto con i piedi, per raggiungerla in fretta. Le sfila il pad dalle dita, legge frettolosamente – e con un colpo al cuore – e poi cancella anche la sua lista, senza fermarsi. 
- Niente più contatti. Con nessuno.

Le uniche due frasi che le dice, con quel tono raschiante ed infastidito da chissà cosa. Poi scappa di nuovo, stavolta per preparare i borsoni: in realtà non li hanno nemmeno disfatti, dopo il ritorno da Greenfield. Li carica in macchina, poi l’aspetta: stavolta la tappa sarà Seven Hills, direttamente.


Seven Hills, Port Inverness
Albergo, Stanza

Ha scritto a Nicole perchè non ne poteva fare a meno. Poche parole, da un contatto cortex nuovo che ha disattivato subito dopo. Le da un appuntamento, poi semplicemente aspetta.
Aspetta diverso tempo, prima di fare o dire qualcosa. Si prepara all’incontro, truccandosi e tingendosi i capelli. Un uomo nuovo, un uomo dai capelli rosso rame e lentiggini sparse su tutto il viso. Sceglie abiti anonimi, poco eleganti e dai colori spenti; ha sempre tutto in valigia.
Vuole tornare a casa e non può.
Non lo ha mai desiderato tanto come ora.
C’è un tatuaggio a ricordargli i suoi doveri, le promesse. Lo sfiora con la punta delle dita, inspirando e chiudendo gli occhi.

Abbandona la camera dell’albergo sapendo che al ritorno sarà più sfatto che all’andata, che il peso sullo stomaco sarà aumentato e che il bisogno di tornare a casa – tra le calde sabbie del deserto – sarà straziante.