martedì 7 ottobre 2014

Until the Day I Die

Horyzon, Capital City
Sede della Shouye, Vasca Termale

- ….stavo scherzando Owen. E la situazione non è impari, forse sul lavoro ma non sulla vita. Lascia perdere va bene? Nella vita sono io quella in difetto. Ma... questa cosa è malsana, ok? Basta.
- .. che caz... cavolo mi sta a significare, D.? Cosa dovrebbe essere malsano? Devi smetterla di sminuirti, quante volte te l'ho detto?! Non sei in difetto. Non devi niente alla vita: è la vita che deve qualcosa a te. Perchè questo non lo vuoi capire?!
- Non avrei mai dovuto indossare quella maledetta collana! Questo tuo esserci sempre. Sono stufa di vedere persone annullarsi a causa mia , Owen. Basta! 
- Dillo ancora una volta, Daphne. Solo una.  Di ancora una cosa del genere e se sopravvivi giuro che ti farò passare l'inferno. Tu non mi controlli. Tu non decidi cosa io debba o non debba fare. Tu non hai potere sulle mie scelte. Tu la devi smettere di pensare agli altri e concentrarti su di te. Darei la vita per te.. ma vedertela sprecare così mi fa venire il voltastomaco.  Mi sembra sempre di doverti salvare ad un passo dal baratro perchè sembra che non te ne freghi un cazzo di lasciarti salvare. Ti preoccupi tanto di come stanno quelli attorno a te, di tenerli lontani, di non includerli nella tua "follia." Facendo così tu la gente la fai soffrire, hai capito?  Tu strappi l'anima di chi per te darebbe l'ultima goccia di sangue e l'ultimo battito. Non essere così ingrata. 

L’acqua è calda, dovrebbe essere piacevole… invece si ha la sensazione di bollire in una pentola come un’aragosta viva. Pelle, ossa e muscoli fanno male. Il respiro esce a fatica dai polmoni. Il metallo sotto alle dita si piega, ammorbidendosi – o questa è la sensazione che da quando l’umidità che scivolare via i palmi dalla scaletta alla quale Owen si tiene, per bloccarla. La lascia senza dire altro. Senza degnarla di uno sguardo. Esce dalla vasca sfruttandone il bordo. Non si asciuga nemmeno: indossa la maglietta sul costume bagnato, lasciando una scia di gocce trasparenti sulle piastrelle. 
- Hai ragione. Io faccio tutte queste cose che hai detto.
- Vorrà dire che imparerai a rimediare.. tanto se vorrai farmela pagare in qualche modo ti farai del male. Fosse anche non mangiando per due giorni e svenendo dopo due passi. Perchè sapresti di farmi sentire in colpa e comunque ti andrebbe bene così.
- Non è vero! Non è vero! Smettila, la devi smettere! 

Non sta a pensarci su molto: corre a raccoglierla da terra, quando si lascia cadere tappando le orecchie con le mani. E grida. Ed impazzisce. E piange.
- Guardami. Guardami!
- Voglio andare a dormire. Voglio tornare in camera. 

La guarda come se la vedesse realmente per la prima volta. Si rende conto di quante energie ha speso per lei, di quante notti insonni s’è lasciato alle spalle.. eppure rifarebbe tutto da capo, ogni cosa, se sapesse di poterla avvicinare ad un – anche piccolo – miglioramento. Vorrebbe dirle che ne è valsa la pena, che può contare su un affetto sincero e disinteressato. L’unica cosa che riesce a fare, al contrario, è lasciarla andare con la faccia contratta in una smorfia piena di disagio. Infastidita. La segue verso la stanza, quando si aggrappa ai muri piuttosto che lasciarsi aiutare. La abbandona. Per la prima notte da quando l’ha trovata in una pozza di sangue, l’abbandona. Lo fa senza dirle che stanotte non dormirà con lei, nemmeno se lo chiedesse. Esce dalla Shouye ancora fradicio per il bagno, infreddolito per l’aria della sera che gli attraversa il corpo come un pugno. Si mette solo un paio di scarpe da ginnastica, poi esce in strada. La Casa viene lasciata alle spalle, addentrandosi nel centro della città fino a lasciarlo del tutto. Sa dove andare.


Horyzon, Capital City
Sobborghi, Regy’s Apartment

(2 ore dopo)

E’ ormai notte fonda e per le strade girano poche persone. Soprattutto dove abita Regy. Un piccolo appartamento nei sobborghi, circondato da diversi fast food ed alcuni ristoranti che a quell’ora fanno solo cibo d’asporto. Si presenta alla sua porta senza nemmeno il pad, spaccato, pestato e lasciato in un cassonetto lungo il tragitto. Bussa due volte, con strabiliante calma. Lo accoglie un biondino dall’aria assonnata che nemmeno apre: guarda dallo spioncino. 
- Non compro niente..
- .. speravo avessi tu qualcosa da vendermi.

La voce è cavernosa. Entrambe lo sono. Uno perché appena svegliato, l’altro perché estremamente stanco e sfatto. Si sente il cigolio delle serrature ed i vari “lucchetti” piazzati a sicurezza. Emerge dalla penombra di qualche lampada un profilo non proprio smilzo ma a suo modo compatto, magro. I capelli spettinati, la barba incolta ed occhi socchiusi che faticano a mettere a fuoco chi ha di fronte. 
- .. che ci fai qui? Ho dimenticato l’appuntamento? – sa essere divertente quando vuole.
- Ho bisogno di un posto per la notte… e per domani.
- Ma una casa ce l’hai. Ed è pure grossa, Dunham. – ma lo fa passare, scostandosi dall’ingresso.

L’arredamento lascia a desiderare, eppure Owen sa che Reginald di soldi ne ha. Fin troppi. Vivere in un simile tugurio fa parte dell’essere completamente anonimi, per non attirare gli sguardi di nessuno. E fa bene: chi mai gli romperebbe le palle alle 2 del mattino a parte l’accompagnatore? 
- Sei andato in piscina?
- Ero alla Casa.
- .. e sei qui perché….
- … perché ho bisogno di un po’ d’aria.
- Qui troverai tutto tranne che aria.

Ed in effetti ha ragione. Ci sono scatole stipate ovunque, strumenti medici sparpagliati in tante bustine di plastica, tutti sterilizzati. Troppi medikit aperti, ognuno con la sua attrezzatura per l’intervento richiesto. 
- Hai pazienti in casa?
- No, e dove li metterei? Sul balcone?
- Giusto. Hai da mangiare?
- Qualcosa.. guarda in cucina.

Ci trova solo scatole da asporto vecchie di almeno un giorno. Spaghetti di riso, verdure saltate, qualche spring roll. Tutto freddo. Mangia con una forchetta senza lamentarsi, poggiandosi al bancone. Regy nel frattempo si è reso presentabile, con un paio di pantaloni ed una maglietta che ha l’aria più pulita. Gli mette un cambio sullo schienale della sedia ma non glielo offre apertamente: lo lascia in bellavista, come una cosa da ricordare. 
- Birra?
- Qualcosa di più forte?
- .. mh. Ho della vodka, me l’ha data un cliente.
- E’ buona?
- E’ forte.
- Andata.

Per il poco che ha mandato giù non è abbastanza: sbronzarsi, però, non è mai stato così “bello”.  Un bicchiere dopo l’altro, senza alcun ritegno, con la sensazione dello stomaco in fiamme e della gola squarciata dall’alcool.  Non si lamenta, non racconta. Non dice assolutamente niente della serata che ha appena passato. Ride solo come un idiota, senza percepire correttamente la stanza attorno a sé. Gira tutto così velocemente che quando sbatte la testa in terra nemmeno se ne accorge. Regy si addormenta sdraiato sul tavolo. Owen abbracciato alle gambe di una sedia con la bottiglia spaccata, ormai vuota, li accanto.
Sul braccio è emersa una scritta che graffia la pelle, sporcata di sangue ed inchiostro – una che non ricorderà di essersi fatto tatuare da Regy solo mezz’ora prima: Until the Day I Die.